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Giuseppe Botti

Una vita per i papiri dell'antico Egitto

di Marco Botti


Giuseppe Botti in una foto del 1906, studente a Novara

Dall’unione di Bartolomeo Botti e Maria Gorini, alle nove di sera del 3 novembre 1889, a Vanzone nasce Giuseppe, o meglio: Carlo, Giuseppe, Gabriele, Maria. In conseguenza alla nascita dei numerosi figli (i coniugi Botti avranno ben 10 pargoli), il piccolo cresce con i nonni paterni, nella frazione di Roletto, dalla quale si può ammirare la maestosa parete Est del Monte Rosa. Egli si trova a far tesoro della cultura montanara con la quale è destinato a convivere, apprendendo da essa la sopportazione alla fatica e ai sacrifici che la montagna richiede.

Nell’ottobre del 1899, presso l’Istituto Salesiano di “San Lorenzo” di Novara, Giuseppe risulta iscritto alle scuole elementari come convittore. In seguito, egli frequenta il Ginnasio inferiore “Cesare Balbo” a Torino e poi il Collegio “Mellerio-Rosmini” di Domodossola, per il Ginnasio superiore, dal 1906 al 1909.
Iscrittosi all’Università di Torino nella facoltà di Lettere e Filosofia, il 17 dicembre del 1913 ottiene la laurea a pieni voti e l’anno successivo il Diploma di Magistero nella sezione di Filologia Classica. Nel frattempo diviene un apprezzato corrispondente dell’Opera del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, sotto la guida del famoso linguista Carlo Salvioni, studiando e redigendo centinaia di schede inerenti il dialetto di Vanzone (che ancora oggi costituiscono un riferimento per gli studiosi che proseguono la stesura del Vocabolario, nel Centro Etnografico e Dialettologico di Bellinzona).

Inizia quasi subito ad insegnare materie letterarie nei licei torinesi (entra di ruolo nel 1920), affiancando l’attività di docente allo studio del cristianesimo delle origini. Dal 1914, i suoi contributi vengono pubblicati su riviste scientifiche specializzate. In quegli stessi anni, in pieno periodo bellico, per gli sviluppi della terribile Influenza Spagnola, muore la sua amata Giuseppina Riccadonna, con la quale stava progettando un futuro comune.

Giuseppe con i suoi fratelli e sorelle (il terzo da sinistra), Natale 1913

Il drammatico evento segnerà indelebilmente l’animo del giovane Giuseppe, facendolo immergere totalmente nel campo dello studio. E’ proprio in quei frangenti, infatti, che egli comincia a frequentare il Museo Egizio di Torino e ad approssimarsi, tramite gli insegnamenti dello Schiaparelli, a quella scienza tanto ostica quanto affascinante quale è l’Egittologia.

Sotto la guida dell’illustre biellese, si occupa dell’ordinamento dei papiri torinesi della Collezione Drovetti (è sua una parte del lavoro di ricomposizione e riscoperta di alcuni frammenti del celebre “Papiro Regio” o “Canone Reale”, il papiro più famoso conservato dal museo torinese, con la lista dei Faraoni sino alla XVII dinastia), pubblicando i suoi primi contributi tramite i Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Le promesse dello Schiaparelli gli danno ad intendere che lo avrebbe presto nominato suo assistente all’Università, per prepararlo come successore alla direzione del Museo Egizio: le cose purtroppo non andranno così.

Nel 1928, con la morte del Maestro, viene incaricato dal Ministero, alla guida del museo torinese, Giulio Farina, che si dimostra subito avverso alla presenza del Botti – avendo una formazione ed un’ideologia completamente opposte alle sue. Lo stesso anno, ad attenuare lo sconforto per la perdita del mentore, si presenta la pubblicazione del prestigioso Il Giornale della necropoli di Tebe, scritto in collaborazione con Thomas Eric Peet (un’opera ancora oggi presa come riferimento dagli storici interessati alla narrazione dei processi per i furti nelle tombe e per l’organizzazione delle squadre degli operai tebani nella XXI e XXII dinastia). Tramite tale lavoro, recensito favorevolmente dalle più affermate riviste scientifiche europee, il suo nome viene conosciuto ben oltre i confini nazionali.

Omonimo del fondatore del Museo Greco-Romano di Alessandria d’Egitto (1853-1903), pure lui egittologo, il nostro ossolano, con il procedere delle sue pubblicazioni, per distinguerlo dal primo, venne chiamato dalla maggior parte degli studiosi “Giuseppe Botti Secondo”.

Una delle quattro valigie contenenti migliaia di frammenti dei papiri scoperti da Carlo Anti nel 1931 e ricomposti pazientemente da Giuseppe, che diede forma a oltre 200 papiri (foto pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana)

Nel settembre del 1932, a seguito della scoperta dell’archeologo Carlo Anti, presso il sito di Tebtynis, di una notevole mole di papiri geroglifici, ieratici e demotici, egli viene esonerato dall’insegnamento e comandato presso la Sezione Egizia del Museo Archeologico di Firenze, al fine di riordinarne la collezione nonché studiare e ricomporre i frammenti dei papiri da poco venuti alla luce.

Negli anni accademici '32-'33, '33-'34 e anche nel 1939, sempre su esonero del Ministero e grazie ad un contributo di 3.000 lire da parte della Fondazione Volta, riesce a prendere parte ai corsi di demotico tenuti dal Lexa all’Università Carlo IV di Praga.

Nel 1939, all’uscita del brevissimo ma significativo studio su Il papiro demotico n° 1120 del Museo Civico di Pavia, egli viene definito, a tutti gli effetti, come il primo demotista nella storia dell’Egittologia italiana (per la difficoltà estrema nella comprensione del demotico – scrittura presentatasi nel periodo tardo: un’evoluzione della scrittura ieratica, a sua volta evolutasi dal geroglifico. Erano, in quegli anni, in sei al mondo gli studiosi in grado di tradurlo).

Botti a Praga per studiare il demotico, 26 novembre 1933
Papiro ieratico funerario della Sezione Egizia di Parma (foto pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, archivio Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)

Nel 1941, con la pubblicazione di Testi demotici (comprendente la traduzione dei papiri e ostraka demotici presenti nei Musei di Bologna, Firenze e Napoli), la sua fama si rinsalda in ambito scientifico. Nel 1942, presso l’Università degli Studi di Firenze, ottiene la libera docenza in Egittologia. L’attività di pubblicazione, soprattutto per ciò che concerne la traduzione e lo studio di testi e pezzi inediti (soprattutto su papiro), prosegue su riviste specializzate italiane ed estere. E’ pure invitato a lavorare al riordinamento di diverse collezioni egizie conservate nei musei di Cortona, Parma e, il più prestigioso, del Museo Gregoriano Egizio del Vaticano (quest’ultimo in collaborazione con lo studioso di storia romana Pietro Romanelli), pubblicandone i rispettivi cataloghi.


Sul finire degli anni ’40 inizia una lunga collaborazione con il demotista Aksel Volten, dell’Università di Copenhagen, troncata purtroppo dalla morte del danese nel 1963 (il loro tanto atteso volume sui nuovi frammenti del Romanzo del Faraone Petubastis rimane inedito; saranno poi pubblicati alcuni stralci dalla prof.ssa Edda Bresciani, ovviamente a nome Volten-Botti, nell’ormai celebre opera Letteratura e poesia dell’antico Egitto, edita da Einaudi).

Nel dicembre del 1955, vince il primo concorso italiano - indetto dall’Università di Milano - per una Cattedra di ruolo di Egittologia (al secondo posto arriva nientemeno che il prof. Sergio Donadoni, oggi considerato il decano della nostra Egittologia). Il 1° febbraio del 1956, è chiamato ad occupare la Cattedra appena costituita presso l’Università “La Sapienza” di Roma. In quegli anni, pubblica numerosi volumi di grande importanza; tra questi, è doveroso ricordare La glorificazione di Sobk e del Fayyum in un papiro ieratico da Tebtynis, che tratta la traduzione e lo studio di uno dei papiri scoperti da Carlo Anti, forse il più bello e significativo, inerente l’adorazione del dio coccodrillo Sobek nella regione del Fayyum. Quest’opera è considerata un “classico” dagli studiosi contemporanei che si occupano della storia e dell’archeologia di quest’oasi tanto ricca delle tracce di antichi insediamenti umani.

Un decennio dopo, quando i suoi contributi superano ormai la settantina, esce L’Archivio demotico da Deir El-Medineh, una tra le sue opere più importanti, che apre le pubblicazioni del Catalogo (generale) del Museo Egizio di Torino. Il volume è stato pubblicato anche grazie all’ingente contributo del CNR di 25.000.000 di vecchie Lire.

In una foto giovanile, con il nonno, suo omonimo, venditore ambulante di stoffe, partito da Romezzano di Bedonia (PR)

Malgrado i numerosi impegni accademici ed il prestigio suscitato a livello internazionale, egli dimostra un attaccamento profondo al suo paese natio e a quello di origine della famiglia: Vanzone in Valle Anzasca e Romezzano di Bedonia, sugli Appennini parmensi (frazione da cui proveniva il nonno paterno). Questo autentico amore, lo farà tornare rigorosamente ogni anno nelle due incantevoli località montane, per trascorrere le ferie estive e le festività principali (nella casa di Roletto, ad insaputa degli abitanti vanzonesi, sono stati ospitati i più grandi studiosi presenti nel panorama dell’Egittologia mondiale di quegli anni: da Aksel Volten a Jaroslav Černý, da Silvio Curto ad un giovanissimo Alessandro Roccati, suo allievo, il quale trascorse diversi giorni a Roletto per ultimare la sua tesi sulle Biografie egiziane).

Dedicatosi per tutta la vita allo studio dell’antico Egitto, Giuseppe, nella terra dei Faraoni non ci mise mai neppure piede. Anzi, alla frequente domanda sulle motivazioni di questa sua mancata diretta esperienza, egli replicava, con una punta di ironia:«Perché, forse gli astronomi vanno sulle stelle?».

Rilievo parietale del generale Amenemone, Sezione Egizia del Museo Archeologico di Parma (foto pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, archivio Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)

Dopo alcuni mesi di declino – aveva già accusato nel corso della primavera un affaticamento dovuto a scompensi cardiaci e difficoltà respiratorie – il 27 dicembre del 1968, presso l’Ospedale di Santa Maria Nova a Firenze, Giuseppe termina la sua esistenza terrena (sarà poi seppellito nel cimitero di Vanzone, nella tomba della famiglia dei cugini Bozzo, a lui molto devoti).

Con la sua scomparsa, restano inediti diversi lavori ancora in corso, tra i quali lo studio e traduzione di tutti i testi demotici presenti nei Musei Vaticani, che egli aveva intenzione di pubblicare sotto il titolo Testi demotici II.

 

Testo e immagini (salvo diversamente indicato) © 2010 by Marco Botti

La foto della valigia dei papiri è pubblicata su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Le foto del papiro ieratico di Pihaj e del rilievo funerario di Amenemone sono pubblicate su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, archivio Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna.

Ringraziamo sentitamente Marco Botti per averci generosamente offerto il testo e le immagini di questa pagina.